Cos’è Basta?
Mi scontro con la difficoltà di spiegarlo in breve e, magari, con piglio accattivante.
Basta non è uno slogan, ed è forse miglior approccio evitare definizioni semplici per oggetti complessi.
Questo non mi impedisce di partire dalla base. Basta è innanzitutto
il nome di un luogo, piccolo ma riportato sulle mappe – almeno su quelle
estremamente dettagliate. Per essere precisi Basta si trova a 81,9 km a
est di Berlino (stando a Google),
Land del Brandeburgo, Märkisch Oderland, Oderbruch,
Gemeinde Letschin,
Ortsteil Steintoch.
A Basta vive un collettivo di 5 persone (e mezza) che pratica agricoltura biologica a supporto comunitario.
L’agricoltura a supporto comunitario (in inglese
Community Supported Agricolture o
CSA, in tedesco s
olidarische Landwirtschaft) è una forma di produzione e distribuzione che cerca una via alternativa al mercato.
Detto altrimenti: nulla di quanto è prodotto a Basta viene venduto;
le nostre 104 Ernteanteile (letteralmente “partecipazioni al raccolto”)
pagano una quota mensile (quest’anno in media circa 70 euro) che vanno a
coprire i costi di produzione e i nostri stipendi. Le 104 parti
corrispondono concretamente a circa 300 persone, dal momento che chi
riceve una parte può essere anche un singolo individuo, ma più spesso si
tratta di una famiglia, un appartamento condiviso o persino un progetto
abitativo con molte più persone. Cinquanta giovedì all’anno dividiamo
il raccolto della settimana per 104 e lo portiamo in due stazioni di
consegna a Berlino.
Produciamo più di cinquanta ortaggi e una ventina di erbe, per oltre
cento varietà diverse su una superficie di circa 2 ettari all’aperto e
in 400 mq di serre. Da quest’anno abbiamo cominciato anche a crescere
cereali (grano, segale e avena) e contiamo di diversificare
ulteriormente nel corso delle prossime stagioni, per esempio
introducendo mais e girasoli, per farina da polenta e olio. La
superficie totale su cui ruotiamo le colture è di poco meno di 9 ettari.
Oltre ai membri del gruppo riforniamo ogni settimana un Vokü (cucina
popolare) e saltuariamente sinistri cucinieri che preparano pasti
durante manifestazioni di protesta o eventi a supporto dei rifugiati.
Ernteanteil del 20 agosto.
Il sistema dell’agricoltura convenzionale si articola su molteplici
livelli e mette in gioco diversi attori: braccianti, lavoratori e
imprenditori agricoli da una parte, consumatori dall’altra e uno o più
livelli di distribuzione nel mezzo. La distribuzione detta i prezzi e si
mangia gran parte del profitto; gli imprenditori medio-grandi
guadagnano e quelli medio piccoli restano a galla, il più delle volte
grazie ai salari da fame dei braccianti; infine, l’orizzonte del
consumatore spesso non va oltre il reparto frutta e verdura di un
supermercato.
Al contrario un CSA cerca di creare condizioni di lavoro sostenibili,
localizza e semplifica la distribuzione e prova ad aprire gli orizzonti
del “consumatore”. Lo metto tra virgolette perché il rapporto tra noi e
il gruppo berlinese non è definibile secondo la classica opposizione
tra produttore/distributore e consumatore. Non siamo infatti una normale
azienda agricola con un modo alternativo di distribuire il raccolto.
Certo esistono CSA “misti” che destinano una parte della produzione al mercato e una parte alle
Ernteanteile.
Ma in questo modo si genera facilmente un sistema per cui al mercato o,
in misura ancora maggiore, alle forniture per i ristoranti sono
destinati i prodotti di prima scelta e più redditizi, e al CSA ciò che
resta o che non può essere venduto.
Sebbene questo modello abbia pure aspetti virtuosi (es. per la
riduzione degli sprechi), noi abbiamo scelto un modello di CSA “puro” in
cui chi paga una quota condivide collettivamente rischi e benefici e
non fa solo da tappabuchi laddove il mercato non offre sbocchi.
Inoltre, un punto centrale dell’agricoltura a supporto comunitario,
almeno per come la intendiamo noi, è di cercare di creare un’assoluta
trasparenza. Ma, ne sono consapevole, “trasparenza” è un concetto
abusato che è divenuto, paradossalmente, opaco. Vale perciò la pena
chiarirlo.
Cosa significa trasparenza?
Innanzitutto, si tratta di trasparenza economica: all’inizio
dell’anno presentiamo un piano finanziario che è discusso, modificato e
approvato in assemblea con tutti i membri del gruppo e che riporta in
modo dettagliato tutte le voci di spesa previste per l’anno seguente;
alla fine dell’anno facciamo un bilancio basato sulle entrate e uscite
reali che serve da base per il successivo piano finanziario.
In secondo luogo, si intende trasparenza della produzione: le porte
di Basta sono sempre aperte e i membri del gruppo possono prendere parte
a ogni fase della produzione. Questo ha molteplici ricadute sulla vita
del progetto: da un lato, il contributo concreto al lavoro permette di
contenere i costi e il carico di lavoro individuale, soprattutto nei
periodi più impegnativi; dall’altro, l’effettiva partecipazione comporta
anche condivisione del sapere.
Il punto è proprio questo: la trasparenza è, nella pratica, possibile
solo se chi riceve le informazioni ha la competenza necessaria a
interpretarle e comprenderle. Per questo è più che opportuno rimettere
in discussione il rapporto tra consumatore e produttore; chi fa
esperienza solo del prodotto finito e consumabile, non è in grado di
dare un valore, in senso ampio, a quel prodotto. Il limite del “consumo
critico” a nostro avviso è che spesso non va oltre la scelta tra diversi
oggetti di consumo, e pertanto si deve affidare a un brand:
fair, bio, slow…
Il nostro punto d’arrivo sarebbe un rapporto umano non mediato, una
conoscenza personale reciproca. Per questo non vogliamo seguire un
modello di crescita a tutti i costi, ma ricerchiamo piuttosto un punto
di equilibrio sostenibile, in modo da restare abbastanza “piccoli” da
poter avere rapporti personali nella comunità. Vogliamo che tutti
possano conoscere direttamente dove, come e da chi il proprio cibo è
prodotto; anche dal nostro punto di vista di produttori questo ha una
grande importanza: conoscere personalmente chi consumerà ciò che
produci, cambia completamente la motivazione e l’approccio al lavoro che
stai facendo.
Va da sé che non sempre questo modello è possibile: non tutti hanno
tempo libero ed energie da investire nel progetto. Il CSA propone forse
un compromesso accettabile: la comunità nel suo complesso fa da garante,
in modo che i singoli membri possano decidere a seconda delle proprie
possibilità il proprio livello di coinvolgimento nel progetto.
La volontà di mantenere piccole dimensioni annulla anche in una certa
misura la concorrenza, perché non vogliamo o dobbiamo conquistare
nessuna “fetta di mercato”. Possiamo anzi appoggiare e sostenere la
nascita di progetti analoghi, con i quali fare rete (già esiste una rete
regionale e nazionale dei CSA abbastanza attiva), scambiare risorse e
competenze.
Gli aspetti di coinvolgimento del gruppo non si limitano all’aiuto
“sul campo”. Il CSA è organizzato in una serie di gruppi di lavoro (
AG)
che curano diversi aspetti del progetto. Dal benvenuto ai nuovi membri,
alla gestione economica e degli spazi, all’organizzazione delle
assemblee, a tutta una serie “skill’s sharing”.
Basta non è un’azienda, ma è un modo di creare comunità.
Come posso supportare Basta?
La principale insicurezza di Basta è la terra. Al momento lavoriamo nove ettari di proprietà del
Land
del Brandeburgo, il quale sta gradualmente privatizzando gli ex terreni
della Repubblica Democratica Tedesca – ovvero quelli che non sono già
stati comprati a quattro soldi dai tedeschi dell’ovest post caduta del
muro.
Per avere la certezza di poter continuare a lavorare qui nel
medio-lungo periodo, dobbiamo in qualche modo mettere questi nove ettari
“in sicurezza”. Il modo più semplice per farlo è acquistarli,
ancheperché, in quanto affittuari, possiamo avvalerci del diritto di
prelazione.
Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare l’offerta di vendita e abbiamo due mesi di tempo per accettarla o rifiutarla.
L’idea non è però di acquistare la terra come privati, ma di comprarla con un consorzio, nel nostro caso
Kulturland Genossenschaft.
La situazione è questa: il costo della terra cresce ed il mercato è
fortemente soggetto a speculazione. Già da qui a una generazione, il
rischio è che le piccole imprese scompaiano e l’accesso alla terra
diventi sempre più difficile. L’idea del consorzio è di creare un
capitale di terre (al momento è impegnata con altri quattro progetti
oltre a Basta), che siano tolte dal mercato e riservate sul lungo
periodo all’agricoltura contadina e biologica.
Nel caso di Basta dobbiamo raccogliere tra 300 e 400 quote da 500
euro(dipende da quanto alta sarà l’offerta per i terreni). Con questo
capitale acquistiamo la terra; dopodiché paghiamo un affitto a prezzo
politico al consorzio, con la sicurezza di poter continuare a lavorare
qui e che la terra non sia venduta ai nostri “vicini di casa” (nel
nostro caso due vicini alquanto ingombranti, con rispettivamente 1000 e
3000 ettari). Le quote creano i capitali per comprare i terreni, mentre
gli affitti pagano le spese di gestione e gli stipendi di chi manda
avanti la
Genossenschaft.
Inoltre qualora chiudessimo il progetto, il consorzio farà in modo
che questo terreno sia comunque affidato a qualcuno con precise
caratteristiche (per esempio un piccolo produttore di agricoltura
biologica) e non finisca qual spuntino nelle fauci del latifondo.
Quindi in sostanza devo donarvi cinquecento euro?
Non esattamente. La quota consociativa (precisamente 525 euro, 500 + 5% di spese gestionali della
Genossenschaft)
non la intaschiamo noi, ma verrà usata appunto dal consorzio di cui tu
stesso entri a far parte, per acquistare i nove ettari su cui lavoriamo.
E non si tratta nemmeno di una donazione, anche perché dopo cinque anni
puoi decidere di uscire dalla
Genossenschaft e riprendere i tuoi
500 euro (senza i 25 spese). Si tratta di qualcosa di più simile a una
adozione a distanza, con la differenza che paghi una sola volta e quando
vuoi puoi venire a vedere come stiamo trattando il tuo (nostro) terreno.
Per domande e info:
irtoittita@anche.no
Altre info
qui (ma in tedesco).