giovedì 29 gennaio 2015

Restare e (r)esistere. Primi appunti vagamente strutturati sull'agricoltura a supporto comunitario

Orbene, riprendo parola. 
Pare che questa volta mi stiano spuntando radici; Non è un male: non sempre la resistenza è movimento e guerriglia. Qualche volta si resiste stando.



Questa volta sto. 
Questa volta mi fermo perché le cose si mettano in moto e divento sedentario della più antica delle sedentarietà: faccio il contadino. 
Faccio parte di un collettivo che pratica agricoltura a supporto comunitario (che da Wikipedia Italia scopro essere - in Italia o almeno in italiano - una forma di agricoltura civica, mentre su quella inglese si abbrevia CSA e te la raccontano un po' più in dettaglio). 


In due parole: un gruppo di persone supporta economicamente, e non solo, un progetto agricolo (e non solo) e da esso riceve una parte del raccolto. 
Nella maggior parte dei casi si tratta di agricoltura biologica o biodinamica e a km 0 (nel senso di distanza ragionevole). 

A spiegarla così, va a finire che scrivo un post lungo, contorto e noioso. Dato che l'ho chiamato appunti, che appunti siano (che poi non vuol dire niente ed è solo una scusa per scrivere lungo, contorto, noioso e pure disordinato).

In Italia, a quanto ne so, quello che più si avvicina a un CSA è il GAS (Gruppo di Acquisto Solidale): un'associazione di consumatori seleziona alcuni produttori con precise caratteristiche (piccola produzione, sostenibilità, artigianalità ecc...) da cui acquistare direttamente i prodotti. Filiera corta VS Grande Distribuzione. 
Il produttore resta, in genere, indipendente quanto al processo produttivo.

Ovviamente esistono diverse forme di CSA e nei casi più moderati coincidono con il GAS. Tuttavia, all'interno di un CSA il "consumatore" è tendenzialmente coinvolto in prima persona. 

In ogni caso, in questo post liquiderò i moderati con una canzone,


perché quella che mi interessa è la forma radicale e le sue linee di tendenza. 
(come si dice in questi casi: non miro all'esaustività. Ci metto solo quello che conta per me). 

1. Verso un superamento della frattura produzione/consumo

Storiella didascalica:
Il signor Rossi va al supermercato, compra dei pomodori, va a casa, li mangia.
Si lamenta con la moglie che i pomodori non sanno di un cazzo.
La moglie gli dice: "Ovvio, son quelli olandesi!".
Il signor Rossi la volta dopo sta un po' più attento. Ha scoperto che alcuni pomodori vengono dall'Italia, alcuni dall'Olanda, altri forse da altre parti. Ma probabilmente non ha la minima idea di come sia fatta una serra olandese per la coltivazione intensiva di pomodori; forse manco come sia fatta una pianta di pomodoro. Non immagina che i pomodori non sono mica tutti rossi e perfettamente rotondi, ma ne esistono di gialli, rosa, verdi, marroni, zebrati, minuscoli o giganti.


Sa che il pomodoro italiano "è più buono", ma non ha la minima idea delle condizioni salariali a cui è sottoposto un bracciante stagionale immigrato. Il signor Rossi si rallegra perché ha trovato i pachino in offerta. Si mangia i suoi 250 g di pomodorini, se li mangia di gusto. "In Sicilia sì che c'hanno il sole, mica come in Olanda!". Poi butta la confezione. L'ha buttata nel bidone della plastica, quindi è un buon cittadino, ha fatto il suo dovere civico e non deve preoccuparsene oltre.


In un CSA chi consuma è invitato a (e libero di) partecipare alla produzione in ogni sua fase. 
Approva insieme ai compagni e ai contadini un piano finanziario annuale, in cui sono compresi costi di produzione e di sostentamento della fattoria e di chi vi lavora; partecipa alla decisione collettiva riguardo a cosa produrre e in che quantità; partecipa secondo le proprie possibilità attivamente al lavoro di produzione, dalla preparazione del terreno, alla semina e alla raccolta. (Ma come!? Il solito vecchio trucchetto del lavoro a gratis!? Non direi: è il modo in cui il gruppo stesso permette la sostenibilità del progetto e il contenimento dei costi).

Il contadino da parte sua condivide un sapere e un saper fare, riducendo al minimo lo scarto che esiste nelle competenze. Più il "consumatore" sa, più è in grado di prendere decisioni sull'organizzazione della produzione e maggiore è il contributo che può dare alla stessa.


2. Presa di distanza dal mercato e sovranità alimentare. 

Gli appartenenti al gruppo pagano una quota mensile che non corrisponde al valore di mercato e nemmeno alla "qualità" di ciò che ricevono, ma ai reali costi di produzione. Questo permette per esempio di crescere varietà scartate dal mercato, perché non idonee alla Grande Distribuzione Organizzata (che richiede iperproduttività e standardizzazione estetica).

La quota può anche non essere fissa ma variare a seconda delle possibilità dei partecipanti (nel nostro caso utilizziamo un sistema a semaforo. Calcolato dal piano finanziario il costo medio per "persona", ogni membro del gruppo comunica tre valori: verde - la mia quota ideale, giallo - una quota che posso permettermi senza problemi, rosso - la mia quota limite).

Forti di questa sicurezza economica, si possono fare scelte più radicali che, dal punto di vista del raccolto, sono più rischiose; non si tratta solo di fare agricoltura biologica, ma, per esempio, di non coltivare culture ibride che, seppur più produttive o resistenti, rendono il contadino dipendente dall'agroindustria che produce le sementi e minacciano la biodiversità.


3. Contatto umano e sostenibilità.

Il contadino riduce al minimo gli sprechi perché non deve vendere niente, ma semplicemente consegnare il raccolto della settimana e dividerlo in parti uguali tra i membri del gruppo. Fa parte del raccolto anche la verdura "imperfetta" e non vendibile secondo le normali condizioni del mercato.
Inoltre il contadino - e questo è per me forse l'aspetto più importante - conosce direttamente le persone che mangeranno i suoi ortaggi perché ci ha fatto assemblee, discusso e in molti casi lavorato fianco a fianco.


Giusto per darvi un paio di spunti che dubito troverete all'EXPO 2015 ;-)

A presto,
M.

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